L'affondamento della corazzata Roma. L'Ammiraglio Bergamini
L'Europa tutta è nel turbine dalla seconda guerra mondiale alla quale anche l'Italia partecipa dal giugno 1940. In un primo tempo le vicende belliche sembrano favorevoli all'Italia e alla Germania ma con l'ingresso in guerra degli Stati Uniti le cose cambiano e l'Italia è costretta ad arrendersi. La notizia dell'armistizio viene diffusa l'8 settembre 1943. La stessa notte le squadre navali italiane ancorate a La Spezia e a Genova ricevono l'ordine di salpare per sfuggire ai tedeschi che potrebbero occupare i porti.
Nella notte, alle ore 2.25 del 9 settembre, la flotta agli ordini dall'ammiraglio Carlo Bergamini, silenziosa e ubbidiente lascia il Golfo di La Spezia diretta a La Maddalena e, passando a Nord di Capo Corso, si riunisce, alle ore 6.30, alla 8^ Divisione incrociatori, partita da Genova. Destinazione La Maddalena, in Sardegna, dove è previsto anche l'arrivo del Re. Al centro della formazione le tre corazzate, a sinistra e a dritta le due divisioni incrociatori e le due squadriglie di cacciatorpediniere. Alle ore 9.00 la formazione fa rotta per 218°, accosta per rotta Sud, passando a ponente della Corsica.
Alle ore 10.00 viene avvistato un ricognitore inglese che fa alcuni larghi giri e si allontana. Alle 10.29 viene avvistato un ricognitore tedesco. Poco dopo le 12.00 la formazione assume la linea di fila con i sei incrociatori in testa e i cacciatorpediniere ai fianchi delle corazzate. L'isola dell'Asinara è già in vista. Una squadriglia di cacciatorpediniere riceve l'ordine di entrare in porto a La Maddalena. Quest'ordine viene tempestivamente modificato alle ore 14.45 da Supermarina che comunica che La Maddalena è stata occupata dai tedeschi. L'inversione di rotta delle unità navali fu immediata.
Sono le ore 15.10, al largo dell'Asinara in cielo appaiono, in tre ondate, 15 aerei bombardieri bimotore tedeschi "DO-217/K2 decollati dall'aeroporto di Istrés presso Marsiglia. Gli aerei lanciano bombe, le "FX/1400" radiocomandate. Le navi rispondono al fuoco ma inutilmente: gli aerei volano a 6-7 mila metri d'altezza.
Alle ore 15 e 47 la corazzata "Roma" viene colpita due volte. La prima bomba cade tra i due complessi da 90 di dritta (n.9 e n.11) a un metro dalla murata, trapassa lo scafo causando una grossa falla e scoppia in mare. L'esplosione sotto lo scafo blocca due delle quattro eliche sistemate a poppa. Una immediata caduta della velocità della nave sotto i 16 nodi. Quattro caldaie poppiere e le relative macchine si allagano. La seconda bomba colpisce la "Roma" alle 15.52 fra il torrione di comando, vicinissimo al fumaiolo di prora, e la torre n.2 di grosso calibro. La bomba perfora il ponte corazzato, il locale turbodinamo e scoppia nel locale motrice di prora. La nave è ferita a morte La torre 2 è proiettata in mare.
Sono forse 2000 tonnellate di acciaio che sono strappate violentemente dalla nave. La corazzata si ferma, sbanda di 10 gradi a dritta. Poi le fiamme raggiungono il deposito di munizioni di prora, la santabarbara: l'esplosione è terribile. La grande nave, orgoglio della Marina Militare italiana, 46000 tonnellate di stazza, si spezza in due e affonda rapidamente trascinando con se 1393 marinai di cui 1193 dell'equipaggio della nave e 200 del Comando Forze Armate da Battaglia presenti a bordo della Nave Ammiraglia. Fra essi l'ammiraglio Carlo Bergamini, il contrammiraglio Stanislao Caraciotti, il comandante della nave C.V. Adone Del Cima e ottantacinque ufficiali.
L'affondamento nel ricordo di Fidenzio Cerasoli
dal bimestrale Centro Storico n.35 aprile 2009
Fidenzio Cerasoli, nato a San Felice Circeo il 20 novembre del 1922, trascorre la sua infanzia nel cuore di San Felice Circeo, in paese, in una delle case di Piazza Vittorio Veneto, per trasferirsi poi, nel 1935, all’età di 13 anni, in Viale Alcide de Gasperi. Chiamato poi in Marina andò a La Spezia e si imbarcò. E' stato fino a poco tempo fa l’unico marinaio ancora in vita dei tre sanfeliciani imbarcati sulla Corazzata Roma.
Fidenzio Cerasoli, di quella sciagura, ricordava: "La nave si spezzò in due. I due tronconi cominciarono a inabissarsi e con loro tutti noi. Il fuoco era dappertutto, e io vedevo gli altri miei compagni in difficoltà, molti caddero in acqua, altri erano ustionati. Io non mi sono nemmeno reso conto di quanto tempo era passato, ma mi sono ritrovato in acqua a mia volta".
Mentre la nave si inabissava Fidenzio non trovava il coraggio di saltare, rassegnato comunque a morire. Invece un suo compagno, un certo Sig. Materazzo, rimase lì a incitarlo a buttarsi in acqua per salvarsi, ma, vista la sua paura, lo spinse giù. E pensare che quel signore non si salvò! Erano più di 2.000 in tutto i marinai e gli ufficiali presenti a bordo della nave, “ci siamo salvati soltanto in 517, tra cui io, che non so nemmeno nuotare!”. Rimase in acqua a lungo, rischiando rischiando di affogare. “Poi”, ho chiesto aiuto allamia povera mamma e ho invocato San Felice Martire, mi hanno salvato loro”. Il nonno, infatti, anche se poco credente, non manca mai alla processione di “San Felice Ranne” (San Felice Grande), che si svolge tutti gli anni il 29 di luglio, proprio per la sua gratitudine nei confronti del Santo.
Riuscì a salire a bordo di una zattera insieme a una decina dei suoi compagni, poiché, dopo il bombardamento, le scialuppe di salvataggio erano colate a picco con la nave. I pochi sopravvissuti, tratti in salvo dal Cacciatorpediniere “Mitragliere” vennero condotti, in un primo momento, alle Isole Baleari, in attesa di essere trasferiti in Spagna a Calles de Malvelle vicino al confine francese, dove i nostri soldati non erano considerati prigionieri dal regime franchista.
Anche l’Ammiraglio Bergamini perse la vita in quel bombardamento, “io ero lì vicino a lui, solo il tempo di allontanarmi un attimo e di vederlo scivolare giù, e chissà, forse è stato proprio quell’attimo a salvarmi!”.
La famiglia dell’Ammiraglio Carlo Bergamini al Circeo
“Indimenticabili e felici ricordi”
Siamo arrivati nel giugno del 1921
di Pier Paolo Bergamini
Ringrazio il Direttore della Rivista bimestrale “Centro Storico” per aver accettato di ospitare i miei “Indimenticabili e felici ricordi” su San Felice Circeo. Mi chiamo Pier Paolo Bergamini, sono nato e vivo a Roma. Mia madre mi portò a San Felice nel mese di giugno dell’anno 1921, avevo 8 mesi. All’epoca la mia famiglia prendeva in affitto il piano alto della villa del Signor Palmerio, che era situata sulla strada che dalla “Croce” porta alla “Cava di alabastro”, via XXIV Maggio. Era a metà strada, sul lato destro in direzione della cava, e vi sì godeva un panorama eccezionale: tutta la spiaggia che arrivava fino a Terracina e al promontorio di Capo d’Orlando (Gaeta); in mezzo la pianura piena di vigne che producevano un ottimo moscato e dell’uva nera da vino; oltre le vigne, verso i monti, le “Paludi Pontine”. Il tutto racchiuso da uno splendido mare azzurro.
Nel 1926 terminarono i lavori relativi alla nostra villa, Villa Batacchi dal cognome da sposata della mia nonna materna, Vittoria. I bambini Sanfeliciani del circondario la chiamavano ”Villa Patacca” con grandi arrabbiature da parte di mia nonna; arrabbiature che rendevano felici i bambini. La nostra villa era piuttosto grande, su tre piani. L’architettura ricordava le ville toscane – il mio nonno materno si chiamava Pietro ed era nato a Firenze ed era immersa in un bellissimo bosco. Era, ed è, situata sulla sinistra della strada che porta al paese, poco prima di arrivare a San Rocco; confinava con il capiente garage di Sferra. Si affacciava quindi sul panorama che ho prima descritto ed era quindi piacevolmente incastonata nella natura del luogo. Dal Paese se ne vedevano solo due piani.
E’ da questo anno che cominciano i miei vivi ricordi. All’epoca a San Felice, oltre alle case del paese, esistevano solo 6 ville. La villa del Barone Aguet, prendendo la strada che da San Rocco porta al mare, dopo 500 metri dal cinema, vi era – sulla sinistra - la Villa dei Sebelman (avevano a Roma una catena di importanti negozi alimentari e panifici), il cui viale di ingresso scorreva alle spalle dell’attuale Villa dell’Ingegner Carlo Lotti. La villa, inoltre,era costituita da un cubo bianco di due piani (il primo piano veniva affittato, durante il periodo estivo, alla famiglia Ciuffo. Il padre era un affermato giornalista e cronista dell’ EIAR – oggi RAI -. Avevano due figli Daysi che viveva a Londra e Nino che aveva un anno più di me ) e si ergeva – affacciandosi sul mare - sulla punta estrema della collina; era circondata da un grande bosco che arrivava fino alla Chiesa che si trova dietro l’allora Pensione Guattari, divenuta poi Albergo Neanderthal. Proseguendo su questa strada, si incrociava la via che dagli scaloni porta al mare (via C. Colombo).
Prima di giungere al mare, sulla sinistra vi era la villa del Generale dei Carabinieri Callari che mi aveva soprannominato “prezzemolo” perchè ero sempre vivacemente e attivamente presente in ogni occasione e attività - contornata da un bellissimo vigneto. Arrivati sul lungomare si trovava la villa del Marchese Bisleti (nobiltà di Veroli e proprietario, fra l’altro, del lago di Fondi) divenuta poi Villa Gemini (personaggio eccezionale, indimenticabile e dotato di grande umanità; possedeva, a Roma, molti e importanti cinema e, in Piazza Montecitorio, - oltre ai cinema “Capranica” e “Capranichetta” - l’”Albergo Nazionale”. E’ stato un attivissimo Sindaco di San Felice). Subito dopo veniva la “Pensione Guattari” e infine, quasi attaccata a Torre Vittoria, la estesa Villa Tittoni circondata da un alto, e per noi ragazzi, misterioso muro.
Un particolare. Vicino alla Villa Tittoni, dove sfocia – o sfociava – il Rio Torto – esisteva un lungo pontile in legno dove attraccavano i velieri che portavano mercanzie varie a San Felice, specie cocomeri (Le merci venivano trasportate in paese o dal camion di Sferra o da quello di Aldino Calisi). Tale pontile veniva utilizzato, quando non c’erano i velieri, per pescare.
Eccettuati i Tittoni, il marchese Bisleti che viveva da solo e i Sebelman, che non avevano figli, noi ragazzi costituivamo – insieme ai figli del Cavaliere Guattari - un gruppo molto unito, amalgamato e affiatato anche perché eravamo praticamente tutti coetanei; io ero il più giovane. Allora, a San Felice, esistevano luce e telefono ma mancavano l’acquedotto e le fognature. All’epoca della mia infanzia vi erano solo due possibilità per andare da Roma a San Felice. In macchina, si doveva percorrere la Via Appia. Il paesaggio, da Roma a San Felice,
era bellissimo perchè si attraversavano i Castelli romani fino a Velletri per poi discendere verso Cisterna. Dall’età di 8 anni l’arrivo alla fettuccia di Terracina, rappresentava per me un momento particolare sia perchè eravamo ormai vicini a San Felice sia perchè pensavo al grande e cavalleresco campione automobilistico del tempo, Taruffi, che – sul lungo rettilineo – aveva vinto con la sua motocicletta-siluro,
il campionato mondiale di velocità su motocicletta. La figlia Prisca, bellissima, simpaticissima, preparatissima nel settore delle corse automobilistiche ed intelligentissima, ha corso per 2 anni in formula 1. Fino a un anno fa partecipava come opinionista sul 1° Canale della Rai alla videocronaca dei campionati del mondo di formula 1.
Ben diversa era la situazione per arrivare a San Felice con il treno. Allora le locomotive dei treni erano alimentate a carbone; era estate, faceva caldo, e i finestrini erano aperti e quindi i vagoni si riempivano di fuliggine. Il treno si fermava a tutte le stazioni. Inoltre bisognava scendere alla stazione di Priverno Fossanova dove il treno sostava solo 1 minuto; facevamo appena in tempo a scendere dal treno e quindi,
molte volte, i nostri bagagli ci venivano gettati dai passeggeri mentre il treno era in movimento. Sporchi di fuliggine, accaldati, stanchi ci recavamo al binario per prendere il treno per Terracina. Giunti a Terracina c’era la corriera a cavalli di D’Antrassi – svolgeva anche il servizio postale - che ci aspettava per portarci a San Felice. Nostra madre, prudentemente, telefonava per preavvisare il nostro arrivo.
Dall’età di 9 anni, alla vista dei due cavalli che trasportavano la corriera, mi dimenticavo la sporcizia e la stanchezza e riuscivo a ottenere di montare in serpa (luogo riservato al cocchiere) e a sedermi vicino al cocchiere. Molte volte, al momento in cui imboccavamo la strada che da Terracina porta a San Felice, il cocchiere mi affidava sotto il suo controllo, ma per me andava bene lo stesso le redini. All’inizio la strada era praticamente rettilinea, vi era solo qualche curva a Badino, mentre la parte complicata cominciava poco prima di Torre Olevola. A questo punto le redini venivano riprese, saldamente, dal cocchiere. Da La Cona allanostra Villa la strada cominciava a salire. Arrivati all’altezza del lavatoio e del mattatoio, che erano situati sulla sinistra prima della curva che poi conduce a San Rocco, la salita si faceva più ripida e io, per alleggerire il peso della corriera e diminuire la fatica dei cavalli, scendevo in corsa - si fa per dire e camminavo vicino ai cavalli. Erano poche centinaia di metri. Arrivati all’ingresso della villa davo una carezza ai cavalli, che erano buonissimi, e un abbraccio riconoscente al cocchiere.
Aggiornamento - 29 Giugno 2012
Ansa
A sessantanove anni dall'affondamento, dagli abissi del golfo dell'Asinara arriva una foto attesa con trepidazione dalla Marina Militare: quella di un cannone 90/50 anti-aereo montato sulla corazzata Roma, il gioiello della Regia Marina colpito da due bombe tedesche il 9 settembre del 1943, nelle caotiche fasi che seguirono la firma dell'armistizio tra Italia e Alleati: oltre 1.300 marinai persero la vita. Poco meno delle circa 1.400 vittime di un altro celebre disastro marittimo: quello del Titanic, 31 anni prima. Le prime immagini del relitto, adagiato in più pezzi a circa 1.000 metri di profondità ed a circa 16 miglia dalla costa sarda, sono state riprese da Guido Gay, titolare della società Gaymarine srl che da molti anni conduce in zona sperimentazioni di innovative apparecchiature di esplorazione subacquee da lui ideate e costruite.
agg.1 14.05.2012
agg.2 29.06.2012