Fontane e Fonti del Circeo
di E. Dantes
Da Il Centro Storico n.31, agosto 2008
Tanti, ma proprio tanti anni fa, quando la televisione l’avevano in pochi, una nostra vicina di casa ci chiamò per dirci di andare subito a casa sua perché stavano trasmettendo un documentario sul Circeo. L’emozione fu forte perché, all’epoca, ricevere l’attenzione della RAI –TV era veramente un privilegio e, quindi, corremmo tutti dalla signora Lucia per assistere a quell’insolito avvenimento.
Ma, purtroppo, il documentario stava finendo e potemmo assistere solo agli ultimi minuti che, comunque, non abbiamo mai dimenticato. Si trattava di un documentario classico, ovviamente in bianco e nero, con le inquadrature scontate ma perfette, commentato da una voce fuori campo che, notoriamente, illustrava con la stessa enfasi il Palazzo Ducale di Venezia o le stradine di un paesino del Molise e che in quel preciso istante stava magnificando la fontanella del Morrone, a San Felice Circeo.
Erano tempi difficili, di ricostruzione, di ripresa; a San Felice era stato appena costruito l’acquedotto anche se erano ancora poche le case che si erano dotate dei servizi e l’acqua che sgorgava da quella fontana, debitamente raccolta e portata nelle cucine, veniva poi attinta da tutti con uno scummarieglie, un mestolino, e da lì bevuta direttamente: era sempre fresca ed aveva un sottile sapore di ferro trasmesso dal secchio che l’aveva, fino ad allora, contenuta.
Probabilmente fu grazie a questo episodio che facemmo nostro un concetto, e cioè che il grado di civiltà di un paese si misura anche dal numero di fontane che riesce a mettere a disposizione dei suoi cittadini e dei suoi ospiti. Dobbiamo dire che San Felice ci ha da sempre abituato ad una certa quantità e disponibilità di acqua e la riflessione che vogliamo fare oggi è legata proprio al trattamento che è stato riservato alle sue fonti ed alle sue fontane. Il posto d’onore spetta sicuramente alle Fonti di Lucullo che, custodi di una delle acque più terapeutiche che si conoscano, ha dovuto subire l’onta dell’inquinamento inorganico da nitrati, privando gli ipertesi e i sofferenti di calcoli renali di un rimedio naturale che non aveva prezzo.
Ma un cattivo trattamento lo ha ricevuto anche la piccola conca del Convento; questa disponeva di due cannelle, da una delle quali sgorgava l’acqua di una fonte che si trovava sul monte e che garantiva al paese un’inesauribile riserva, anche in casi, non infrequenti, di guasti all’acquedotto. Molti ricorderanno le file di donne e ragazzini che riempivano ghirbe e buccenotti a gliu cunviente; andate a vedere oggi come è stato ridotto quel posto, con getti d’acqua inutilizzabili e con la vasca ricoperta da una strana mucillagine, da una carpia che non risparmia neppure quello che è stato uno dei fiori all’occhiello del paese e cioè la fontana di piazzale San Francesco.
Questa, costruita ad immagine e somiglianza della fontana di un paese francese, Sant Paul De Venze, e subito ribattezzata, per la sua caratteristica forma, asse de coppe, si trasforma spesso in una sorta di raccoglitore di rifiuti, con i suoi quattro getti che, a volte, sembrano emettere solo furtive lacrime. Quando l’uso delle auto e delle moto ci era precluso e, quindi, andavamo a mare a piedi, il ritorno in salita era mitigato dal pensiero che avremmo trovato ristoro nell’acqua della fontana di San Rocco o in quella del Concone, all’inizio di via del Faro; anche queste sono state colpite dalla smania del cambiamento, la prima – un’aquila stilizzata a ricordo del regime che l’aveva costruita – sostituita da un’improbabile oggetto di stile tardo-ottocentesco; la seconda, dopo un periodo di eclissi, sistemata nei giardinetti di fronte al comune.
Sono utili tutte le fontanelle, anche quelle “povere”, dal momento che la loro ricchezza si identifica con l’acqua che forniscono, e quindi anche quella recentemente installata in piazzale Rio Torto. Qualche anno fa, un’ordinanza comunale, ne stabilì la chiusura; quest’anno è stata riaperta ma la sua vicinanza alla spiaggia fa sì che il suo scopo non sia più quello di dissetare ma bensì quello di fungere da pubblico lavacro, almeno a giudicare dalle scenette che vedono impegnate decine di persone nel lavaggio dei piedi (ed altro) con il risultato poco piacevole di fornire materiale per scene indecorose e di creare una costante pozza d’acqua davanti alla fontana stessa. A questo punto, forse, tanto varrebbe richiuderla oppure riesumare e sistemare lì vicino una piccola lapide che si trovava nei pressi del Concone e che riportava due versi del maestro Vaj: “Bevi e ribevi al provvido zampillo/poi, dissetato, lascialo tranquillo”.
Dopo aver ricordato la bella fontana sita di fronte alla Chiesa di Borgo Montenero (dove si vocifera che ora l’amministrazione ne voglia, chissà per quale oscuro motivo, installare un’altra) e la fontanella dello stesso Borgo che spesso versa in condizioni di scarsa funzionalità (ecco, magari lì si poteva trasferire la fontana “razionalista” di San Rocco); nonché, quella di San Vito che oggi fornisce essenzialmente acqua potabile a molti dei lavoratori indiani del territorio, risaliamo verso il paese e, salutata, la storica Fontana Copella, torniamo ancora nel centro storico. La fontanella del documentario è ancora al suo posto, ma in uno stato pietoso che ci riempie di malinconia; anche se il massimo della tristezza lo proviamo una volta giunti alla Piazza.
Non apparteniamo alla generazione che ha visto la vecchia fontana che si trovava una volta al centro del paese, ma ne abbiamo colto il fascino antico da una serie di fotografie; ed ancora non riusciamo a capire quale disegno diabolico abbia portato a realizzare quell’altra “cosa” che l’ha sostituita. Lo sappiamo che è tempo perso, ma speriamo sempre che qualche evento possa portarcela via e, ogni tanto, in sogno, assistiamo a quella famosa scena in cui Totò vende la Fontana di Trevi a Deciocavallo, solo che nei panni di Totò c’è il sindaco…
14 Luglio 2012 | agg.1