Metamorfosi
Metamorfosi, XIII-XIV
Glauco e Scilla
Il Dio marino Glauco, innamorato della ninfa Scilla, decide di ricorrere
alle arti magiche della Maga Circe. Dalla Sicilia
… con valide braccia
poscia solcando il Tirreno pervenne all'erbose colline
ed al palazzo di Circe, la figlia del Sole, ripieno
tutto di belve. La salutò nel vederla,
risultato, dicendo: "Pietà, ti scongiuro, d'un Dio!
Poiché tu sola, se degno ti sembro, mi puoi alleviare
la passione amorosa. Nessuno sa meglio di Glauco
quanto sia grande la forza dell'erbe, che m'hanno mutato.
… non farmaco chiedo
che la ferita mi sani: non questo m'occorre; ella senta
parte del fuoco che m'arde! "Ma Circe (nessuna di lei
è meglio adatta agli amori improvvisi)…
… così gli rispose: "Faresti
meglio a seguire qualcuna che voglia te pure, infiammata
dalla medesima passione"…
ecco io stessa, una diva, la figlia del nitido Sole,
che tanto posso con carmi e pur anche con l'erbe, vorrei
essere tua. Lei sprezza che spregia e seconda chi t'ama;
e in un tratto soltanto fa' la vendetta di due".
Glauco così rispondeva alla diva che lo lusingava:
"Prima le fronde nel mar nasceranno o su l'alte montagne
l'alghe, ch'io muti, vivendo, l'amore che nutro per Scilla".
Ne fu sdegnata la Dea, che nuocere non gli potendo
e non volendo, perché n'era presa, s'adira con quella
che l'è preposta; ed offesa per tale rifiuto d'amore,
subito trita erbacce d'orribili succhi,
e, nel tritarle, sussurra dei carmi acatei; un'azzurra
veste si mette e, tra mezzo alle belve che fannole festa,
esce dall'atrio e va verso Reggio, di fronte a Messina…
In un'insenatura, dove Scilla è solita bagnarsi, Circe infetta
le acque del mare con veleni spremuti da radici ripetendo parole
magiche. Scilla poco dopo entra nell'acqua e subito si vede la
parte inferiore del corpo bruttata da cani ringhiosi; in seguito
viene mutata in rupe.
Metamorfosi, XIII-XIV
Ninfe e Nereidi
Ninfe e Nereidi si vedono insieme, ma non con le dita
Mobili traggon la lana né attorcono i fili seguaci;
piante dispongono, e i fiori che sono senz'ordine sparsi,
entro i canestri separano, e l'erbe dai vari colori.
Circe presiede a quest'opera, che l'uso ben sa delle piante,
sa le virtù delle loro mischianze e con attenzione
pesa ed esamina l'erbe…
Segue la trasformazione in porci narrata da chi l'ha sperimentata di persona.
… divenni di setole irsuto,
più non potei favellare e mandando grugniti
rochi sul suolo movevo carponi: sentii che la bocca
mi s'induriva nel grugno, che il collo ingrossava di fibre,
e con le mani, onde presi la tazza poc'anzi, per terra
l'orme segnai…
agg.1 13.09.2001
agg.2 16.03.2012
Metamorfosi, XIII-XIV
"Il Picchio Rosso"
Pico, Canente e... Circe
Pico, figliol di Saturno, regnò nell’Ausonia: amante fu di cavalli giovevoli in guerra e di forme era bello…
(Pico è ammirato e amato dalle Ninfe)
…ma il giovane le disprezzava
tutte e onorava soltanto una ninfa, cui sul Palatino
dicono che partorisse Vinilia da Giano bifronte.
Come costei per l’età fu matura alle nozze, prescelse
Quale marito in Laurento fra gli altri moltissimi Pico.
Bella d’aspetto, ma meglio per l’arte del canto, Canente
fu nominata…
(Uscito nell'agro romano a caccia di cinghiali si inbatte in Circe...)
Anche la figlia del Sole per quelle medesime selve
era venuta, per scegliere l’erbette cui sui colli feraci,
avea lasciato quei campi da lei così detti circei.
Quando nascosta nel mezzo ai cespugli quel giovane vide,
stupì lasciando cadere quell’erbe che aveva raccolte,
e le sembrò che per tutte le vene scorressele il fuoco.
Come riebbe la mente dal fervido ardore, sul punto
fu di svelargli il suo amore; ma i servi, che gli erano attorno,
e del cavallo la corsa vietarono che l’accostasse.
"Non fuggirai, ella grida, quand’anche ti portino i venti…
(Circe fa apparire davanti al giovane un finto cinghiale; Pico lo insegue affinchè non è costretto a scendere da cavallo quando si accorge di aver smarrito la scorta dei compagni. Avviene quindi l'incontro.)
"Oh pe’ tuoi occhi che il cuor m’hanno preso; per la tua bellezza,
o giovinetto grazioso, che spinge me diva a pregarti,
porgi soccorso al mio ardore ed accogli tuo suocero il Sole,
che tutto vede né duro spezzar la titanide Circe!"
(Pico rimane fedela alla moglie Canente e Circe, adirata " lo tocca con verga": Pico fuggendo si stupì di correre più del normale)
vede che il corpo è pennuto e, sdegnato che qual nuovo uccello
voli nei boschi del Lazio, col rigido becco trafigge
gli alberi duri e con ira dà colpi nei lunghi tronconi.
Prendon le penne il vermiglio color del mantello: la fibbia,
l’or, che stringeva la veste, diventano piume e si tinge
d’oro la testa e di Pico riman sol il nome che aveva.
(Intanto i compagni di caccia lo cercano dappertutto finché scoprono Circe e la minacciano chiedendo la restituzione del loro re. Ma questa li trasforma tutti in esseri mostruosi. Canente attende invano il marito, partecipa con i servi alla ricerca "e per sei giorni e sei notti non dorme e non mangia". Infine cade sfinita sulla riva del Tevere.)
…L’afflitta qui sommessamente pianto
versava e parole dal duol modulante, si come
cigno che canti morendo le funebri note…;
quindi svanisce nell’aria leggera.
Traduzione di F.Bernini, collezione "Poeti di Roma" edita da Zanichelli