Cesare si impadronisce del potere - Circeo - Storia e Leggenda

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Cesare si impadronisce del potere

La conquista della Gallia procurò enormi ricchezze e un formidabile potere militare. Il Senato ebbe timore e, con un decreto, gli tolse il governo della Gallia, base della sua forza, ordinandogli di lasciare le truppe e di tornare a Roma come privato cittadino. Obbedire a quest'ordine significava consegnarsi inerme agli avversari; non obbedire significava la guerra civile, tanto più che, morto Crasso, Pompeo aveva dichiarato decaduto il «triumvirato» e si era contrapposto a Cesare passando dalla parte dei nobili e del Senato. Falliti i tentativi di accomodamento, Cesare alla testa dei suoi uomini varcò il confine fra la Gallia Cisalpina e l'Italia - il fiume Rubicóne, presso Rimini - e si diresse a Roma. Pompeo e i senatori, privi di un valido esercito, fuggirono in Grecia per organizzare la resistenza con le truppe ivi stanziate ma, raggiunti da Cesare, furono sconfitti a Fàrsalo (48 a.C).


Pompeo si rifugiò in Egitto, dove il re Tolomeo lo fece uccidere a tradimento, sperando così di guadagnare il favore di Cesare. Ma questi destituì Tolomeo e mise sul trono sua sorella Cleopatra, ponendo l'Egitto sotto il protettorato romano. Cesare quindi guidò le truppe in Asia Minore, contro Farnace, figlio di Mitridate, che tentava di riconquistare i perduti domini paterni (il Ponto), e lo vinse con una guerra così breve (5 giorni) che egli potè darne notizia a Roma con un dispaccio che diventò famoso per la sua brevità: «Veni, vidi, vici» = venni, vidi, vinsi. Sbaragliati, infine, gli ultimi seguaci di Pompeo in Africa (Tapso, 46 a.C.) e in Spagna (Munda, 45 a.C), ritornò a Roma come un trionfatore.


Le riforme di Cesare


Cesare, ottenuti i pieni poteri, console e dittatore a vita, si accinse a compiere vaste riforme, che avviassero a soluzione i problemi dello Stato e della società romana. Per diminuire il numero dei poveri e dei disoccupati egli fece distribuire vaste estensioni di terra pubblica ai contadini e ai soldati ritornati alla vita civile; si calcola che in Italia e nelle provincie, le famiglie beneficate fossero circa 100 000. Altri contadini furono assunti come dipendenti nelle grandi aziende agricole, nella misura di «un lavoratore libero ogni tre schiavi», come stabilì una legge di Cesare. Altra gente ancora fu occupata in opere pubbliche; a Roma, ad esempio, si costruì la piazza Giulia o Foro di Cesare, così chiamato in onore del dittatore; a Ostia, si progettò un nuovo porto; città distrutte dallo guerre furono riedificate e popolate da coloni romani: per esempio Corinto in Grecia, Cartagine in Africa.


Per proteggere dallo sfruttamento gli abitanti delle province Cesare incomincio a riordinare il sistema amministrativo, istituendo un rigoroso controllo sui magistrati e pene severissime contro gli abusi. In Asia, la riscossione delle tasse fu affidata a funzionari dello Stato e tolta ai privati, agli ingordi affaristi, che con i loro metodi di sfruttamento provocavano tanta ostilità contro Roma.


A favore delle popolazioni dell'Italia, e anche di altre fuori della penisola, Cesare stabilì che tutte le città fossero amministrate da magistrati eletti dagli abitanti del luogo. Fra i provvedimenti presi da Cesare, due leggi furono particolarmente significative. 1) estese la cittadinanza a diverse popolazioni non italiche, ad esempio ai Galli cisalpini (al di qua delle Alpi),  agli abitanti della Sicilia e a parte di quelli dell'Africa; 2) fece entrare nel Senato e nel governo di Roma numerosi stranieri, originari della Spagna e della Gallia.

Con questi provvedimenti, degni della migliore tradizione romana, Cesare riprese quella politica di unione e collaborazione con gli altri popoli che già aveva reso grande e civile Roma nei migliori anni della Repubblica. Tale politica, in precedenza limitata alla penisola italica, ora, per opera di Cesare, incominciava ad allargarsi al più vasto mondo umano e geografico delle terre conquistate.

Un'altra iniziativa da ricordare è la riforma del calendario, che una commissione di astronomi e matematici alessandrini, riuniti dallo stesso Giulio Cesare, fissò in 365 giorni (più un 366° giorno ogni quattro anni), contro i 355 in uso a Roma fino dall'epoca dei re. Si formò in tal modo il calendario giuliano (così chiamato dal nome di Cesare) che, con una lieve modifica apportata da papa Gregorio XIII nel 1582, è il medesimo che noi oggi ancora usiamo.

Cesare non potè portare a compimento il suo vasto programma di riforme: il 15 marzo del 44 a.Cr. mentre entrava in senato, egli fu ucciso a pugnalate da un gruppo di oppositori, guidati da Giunio Bruto e da Gaio Cassio che non tolleravano il suo potere personale, da loro giudicato un pericolo per le libertà repubblicane.
13 dicembre 2016 | agg.0 (in lavorazione)
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