Cicerone approda al Circeo
In un convegno fra Ottaviano, Antonio e Lepido (43 a.Cr.), tenuto presso Bologna, fu concluso un accordo politico, che costituì il secondo triumvirato. I tre uomini stabilirono di dividersi fra loro il governo delle province e di far nominare alle pubbliche cariche persone fidate; costrinsero il senato a riconoscere il triumvirato come una vera e propria magistratura e si fecero conferire per un periodo di cinque anni i pieni poteri per il riordinamentro dello Stato.
I triumviri si diedero allora a una spietata persecuzione dei loro nemici. Uno dei colpiti fu Cicerone, che sperava nel ritorno delle libertà dopo la morte di Giulio Cesare.
Costretto a fuggire, Cicerone raggiunse Astura per imbarcarsi su una nave, rasentò la costa fino al Circeo e qui, volendo i marinai subito dar vela, egli scese a terra, o per paura del mare o perché non disperava del tutto della fede di Ottaviano, camminò per terra per oltre otto miglia entro il territorio di Circei. Era nelle sue intenzioni, come sembra, raggiungere Ottaviano, per tentare una possibilità di salvezza.
Lo distolse da questo proposito il pensiero che se fosse stato sorpreso per via non avrebbe potuto evitare gravi tormenti. Quindi risolse di affidarsi agli schiavi (di Circei?), che lo condussero a Gaeta dove aveva dei possedimenti. Cicerone sbarcò a si ritirò nella sua villa. Il giorno successivo si offrì al pugnale dei sicari: il centurione Erennio e il tribuno Popilio, che pure un tempo era stato difeso da Cicerone. Testa e mani recise furono recate ad Antonio, contro il quale aveva scritto le Filippiche. Antonio le fece esporre nei rostri sul foro.
Sulla via Appia, nei pressi di Formia, si innalza un sepolcro di età augustea a pianta centrale e cilindro cementizio, un tempo rivestito di marmo, comunemente noto come Tomba di Cicerone, in quanto la tradizione lo lega alla morte del grande retore.
Così Plutarco, dalle "Vite parallele", descrive questa fase della fuga, in "Cicerone", 47, 1-7:
XLVII 1. Mentre i tre prendevano accordi, Cicerone si trovava in compagnia del fratello nei suoi possedimenti di Tuscolo. Appena seppero dell'ondata di proscrizioni, decisero di trasferirsi ad Astura, dove Cicerone aveva un suo podere sul mare: di là avrebbero navigato in Macedonia per raggiungere Bruto. Da qualche tempo, infatti, correva voce che la posizione di questo fosse divenuta autorevole. 2. Si fecero trasportare su lettighe, in preda alla disperazione più cupa: ogni tanto, fermandosi lungo la strada, avvicinavano le portantine e si consolavano a vicenda. 3. Il più depresso era Quinto, perché non faceva che pensare alle mille difficoltà che avrebbero incontrato: ripeteva che da casa sua non aveva portato nulla e anche Cicerone aveva scarse provviste per il viaggio. Sarebbe stato meglio, quindi, che Cicerone continuasse a fuggire, mentre lui sarebbe corso a casa a prendere il necessario per entrambi. 4. Così fu deciso: e i due, tra abbracci e lacrime, si separarono. Qualche giorno dopo, venduto dai suoi servi agli uomini sulle sue tracce, Quinto fu ucciso con il figlio. Cicerone, nel frattempo, giunse ad Astura dove, trovata un'imbarcazione, prese sùbito il largo e, approfittando di un vento favorevole, navigò lungo la costa fino al Circeo. 5. I piloti volevano ripartire immediatamente; ma l'oratore, un po' per paura del mare, un po' perché non aveva ancora perso del tutto la fiducia in Cesare, preferì sbarcare e percorrere a piedi un centinaio di stadi in direzione di Roma. 6. Ma ancora lo assalirono dubbi, perplessità e alla fine cambiò idea: scese di nuovo verso il mare, ad Astura. Là trascorse la notte, assillato da incubi e orribili pensieri: arrivò persino a immaginare di introdursi di nascosto in casa di Cesare e di togliersi la vita presso il focolare, in modo da eccitargli contro le furie vendicatrici. 7. Ma il timore di incorrere nella tortura, in caso avesse fallito, lo fece desistere da questo proposito. Alla fine, dopo aver fatto e disfatto con la mente un gran numero di progetti, uno più confuso dell'altro, ordinò ai suoi servi di condurlo per mare a Gaeta: là, infatti, possedeva un podere, ameno rifugio alla calura estiva, quando con piacevolissima brezza soffiavano i venti etesi.
30 agosto 2002 | agg.4
18 ottobre 2012 | agg.5