Conseguenze dell'unificazione al Regno d'Italia
L'annessione dell'ex feudo Circeo al Regno d'Italia non fu un beneficio per la collettivita' del paese. San Felice Circeo fu subito affittato a Salvatore Mangoni, senza tener conto dei diritti e delle proprieta' della gente piu' povera.
Il primo sindaco, Pietro D'Antrassi, si attivò subito, ed energicamente, per ottenere dal Demanio Italiano "almeno" il libero godimento del Quarto Comunale e la cessione dell'ex Feudo in enfiteusi perpetua in regime di libera proprietà mediante pagamento di una quota rateizzata.
Il primo obiettivo, dopo innumerevoli suppliche e petizioni, fu parzialmente raggiunto grazie l'atto di transizione tra il demanio e il comune il 18 luglio 1876, per mezzo dei delegati Achille Schisani e Vincenzo Lesen, mentre era sindaco Vincenzo Carusi, limitatamente al diritto di "legnare" (per fuoco o costruzione) di pascolo e dell'usufrutto libero delle erbe cosiddette "esuberanti" (l'atto andò a regime dal 1882!).
Al Comune di San Felice fu assegnato:
Il Campo della Mola, parte della Macchia di Piano (dalla fontana di Mezzomonte alla Bagnaia), parte del monte, dalla Fontana di Mezzomonte alla strada del Faro, a quota 660 metri dalla Torre Cervia, Torre Fico e altri piccoli appezzamenti (ovviamente dietro un riscatto in denaro di 42.106 lire). Il resto del territorio fu venduto a privati.
Il secondo obiettivo, l'enfiteusi dell'intero ex feudo, non fu mai raggiunto. La giunta del Comune, nel 1876, inviò una lettera al Gen. Menotti Garibaldi la quale riassume con dura chiarezza il malessere della comunità sanfeliciana: "voglia degnarsi interporsi presso il lodato Superiore Governo onde si compiaccia concedere a questo Comune l'enfiteusi perpetua… affinché il Comune stesso possa un giorno essere libero ed esente da ogni oppressione di tasse, come al presente si trova gravato, che gli popolani non diventano schiavi di qualche prepotente compratore come lo furono una volta sotto le cessate tiranniche baronie".
agg.1 02.05.2002