Elementi di tecnologia costruttiva
La tecnologia delle costruzioni, studio che individua materiali e caratteristiche delle opere realizzate dall'uomo, non può essere condotto se non con un'altrettanta analisi obiettiva dell'evoluzione tecnologica umana, ovvero: quale era il grado di conoscenza dei metalli? delle trasformazioni della materia attraverso la cottura? Quale la conoscenza dei luoghi ove estrarre la materia prima? Quale il grado di utilizzo dei materiali secondari e d'ausilio al tempo in cui avveniva l'edificazione stessa?.
Domande sempre più difficili a cui dare soluzione quando si và indietro nel tempo di millenni!.
Oltre alle fonti storiche bisogna porre attenzione al territorio stesso in cui trovasi l'opera e comparare le altrettante edificazioni tra loro simili, cosa che spesso qualche autorevole studioso nel diciannovesimo secolo ha inteso trascurare un po' troppo.
L'attenta lettura di Dionisio d'Alicarnasso (storia di Roma antica), i cui passaggi significativi sono coincidenti con quelli del suo predecessore Tucidide (Le storie: I 5,1; 6,1; II 2,2) indica che i Pelasgi furono coloro che "insegnarono" agli Aborigeni come costruire le "fortificazioni".
Infatti, da una urbanistica priva di opere murarie difensive e sottesa a trovare siti per costruire i villaggi in luoghi che hanno già in se stessi opere naturali difensive (paludi, burroni o picchi), si passa alla costruzione di fortificazioni vere e proprie.
Ora, molti studiosi si sono più volte cimentati nel catalogare e suddividere per archi temporali le costruzioni ciclopiche classificandole in opere del 1°, 2°, 3°, etc. periodo. Appare però (finalmente) una certa obiettività di analisi nel testo scritto da Gloria Marinucci "Tecniche costruttive Romane" dove l'autrice dice "l'opera poligonale detta anche opus siliceum, ciclopica, pelasgica, tirinzia è formata da grossi blocchi di pietra sovrapposti senza malta. Attribuita ai Romani, presenta alcuni interrogativi sui quali ancora si discute…" continuando invita ad una certa prudenza a percorrere tale via di attribuzione di paternità della tecnica costruttiva.
La tecnica della costruzione romana
1. opus siliceum (o poligonale o ciclopico): i muri sono innalzati mediante grossi blocchi non lavorati, poligonali, semplicemente incastrati gli uni agli altri.
2. opus quadratum: i muri sono formati da pietre da taglio sovrapposte, regolarmente squadrate.
3. opus reticolatum: tipo di muratura della prima età repubblicana, formato da blocchetti di tufo squadrati, disposti a reticolato diagonale.
4. opus latericium o testaceum: tipo di muratura con rivestimento di mattoni collegati da calcina.
5. opus mixtum: tipo di muratura che unisce i blocchetti di tufo ai mattoni.
6. opus incertum: tipo di muratura ricoperto da un rivestimento di piccoli blocchetti di tufo disposti irregolamente e fiancheggiati da pietre squadrate. (Il più diffuso nel Circeo)
Dallo studio del Cherandini e del Pallottini, massime autorità storiche del diciannovesimo secolo, anche se sviluppatori di teorie spesso contrapposte, appare evidente che concordino sul fatto che nel Lazio, tra il XIII e XII secolo a.c. vi fù un'influenza evolutiva esterna che portò la civiltà locale ad un'impennata esponenziale culturale. Questo generò la conoscenza della lavorazione delle leghe metalliche e la nascita di più articolate classi sociali interne delle popolazioni. Insomma pare proprio che arrivò la civiltà, ma più probabilmente portata dall'esterno dell'Italia, dato il tempo breve in cui si diffuse e quindi non il frutto di una lenta e secolare evoluzione culturale autoctona.
Si ritiene, con sempre più certezza, che i costruttori delle mura ciclopiche, mai videro quella che è considerata la nascita di Roma 750 a.c.!, a meno che non venga rivista anche questa data: cosa non difficile dal verificarsi in un prossimo futuro alla luce degli ultimi ritrovamenti archeologici!.
Tanto premesso incominciamo a elencare alcune caratteristiche di tecnologia costruttiva comune a tutte le cinte murarie ciclopiche e in particolar modo evidenti nell'acropoli del Circeo, quali:
I. La facciata esterna della cinta muraria è rifinita con estrema cura, cioè liscia e priva di interstizi ove trarre appoggio per scalarle quando si tratta di:
a) ingressi alla città "porte" e le loro immediate adiacenze;
b) mura particolarmente a rischio di scalata o di attacco con artifizi;
c) angoli e adiacenti tratti di connessione ad incastro.
II. La facciata interna non è rifinita con cura, cioè è grossolana e caratterizzata da interstizi quando si tratta:
a) della facciata interna delle cinte murarie;
b) della facciata esterna in prossimità di strapiombi e quindi senza necessità di contrastare tipologie di attacchi temibili, ma comunque costituite da blocchi enormi spesso superiori ad un diametro di 1,5 ml.;
c) delle facciate interne ed esterne delle cinte murarie secondarie e terziarie che cingevano in anelli più grandi le acropoli stesse.
L'analisi di quanto detto è data dalle risultanze di rilievi sul posto con evidente analisi obiettiva di vari fattori. Nel tempo, i flussi e riflussi storici hanno fatto vedere come l'occupazione di territori, se avviene: in fasi decise, in tempi brevi "lampo" e amplificata da una migliore conoscenza tecnica di materiali e mezzi sia stata la carta vincente per le mire espansionistiche di molte civiltà.
costruzione IttitaLa seconda guerra mondiale fù una delle ultime manifestazioni di questa tecnica, ma basta pensare a quanto cennato in precedenza dei popoli al di là del Bosforo o compresi tra l'Anatolia e la catena montuosa degli Urali. Esempio eccelso, coincidente con i Pelasgi nell'utilizzo di eguale tecnica costruttiva, furono gli ITTITI. (vedere foto a lato)
Gli Ittiti videro affermare la loro entità storica già nel XVI secolo a.c., ma come molti altri popoli, la loro massima espansione ottenuta in breve tempo, in altrettanto periodo si affievolì fino a quando nel VIII secolo a.c. furono sopraffatti dagli Assiri.
Certo eguale sorte ebbero sicuramente i Pelasgi che si trovarono ad occupare un territorio con poco ricambio di risorse umane tanto che si coalizzarono, presumibilmente, con i popoli Aborigeni. La ricetta vincente che adottarono fu quella della costruzione di più fortificazioni con la loro tecnica all'avanguardia rispetto a quella conosciuta dalle popolazioni locali e la fusione con altri popoli con lo scambio della loro tecnologia che fece si di legarli in un biunivoco sistema di interdipendenza vitale l'uno per gli altri.