Impatti dell’eruzione del 79 d.C. nel territorio del Circeo - Circeo: Storia, Leggenda e Patrimonio Culturale

Storia e Leggenda del Circeo
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Impatti dell’eruzione del 79 d.C. nel territorio del Circeo

Impatti dell’eruzione del 79 d.C. nel territorio del Circeo
di carlo gallone

Testimonianze storiche dell’epoca


Eruzione Vesuvio 1944L’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. fu documentata da autori antichi, in primis Plinio il Giovane e, successivamente, storici come Cassio Dione. Plinio il Giovane, testimone oculare da Miseno (circa 30 km a ovest del vulcano), descrive una serie di forti terremoti che precedettero e accompagnarono l’eruzione. Nella sua lettera a Tacito riferisce che nelle ore iniziali “le case tutt’intorno crollavano” per le scosse sismiche e persino i carri venivano sballottati dal sisma​. Plinio osservò anche un improvviso ritiro del mare (segno di maremoto locale) al porto di Miseno: “vedevamo il mare risucchiarsi in sé, come respinto dal tremito della terra”​. Subito dopo apparve sul Vesuvio una gigantesca nube “nera e spaventosa”, attraversata da guizzi di fuoco, che in breve tempo calò sulle terre circostanti​. Plinio racconta che la nube vulcanica oscurò completamente il cielo in pieno giorno, avvolgendo Capri e il promontorio di Miseno in tenebre totali. Nel giro di poco “si fece notte, non una notte senza luna o nuvolosa, ma un buio pesto, senza il minimo barlume di luce”, con pioggia di cenere così fitta che tutto ne risultò coperto “come fosse neve”​. Questa drammatica testimonianza oculare conferma gli effetti della ricaduta di cenere e lapilli: a Miseno cadde cenere vulcanica in quantità tale da imbiancare il suolo e costringere gli abitanti a scuoterla di dosso per non esserne sepolti​. Nonostante Miseno disterà circa 30 km dal cratere, gli effetti erano già devastanti: scosse telluriche, aria irrespirabile, buio diurno e accumulo di piroclasti al suolo.


Anche Cassio Dione, nella sua Storia Romana (inizi del III sec. d.C.), offre un resoconto degli eventi, confermando e ampliando quanto percepito a distanza. Egli parla di fenomeni spaventosi in Campania, con “violenti terremoti” tali che “tutta la pianura ribolliva e le vette balzavano in aria”, accompagnati da ruggiti sotterranei, boati del mare e fragori in cielo​. Dione racconta che improvvisamente ci fu un fragore tremendo “come se i monti crollassero”, seguito dall’espulsione di “enormi macigni… quindi una grande quantità di fuoco e fumo senza fine”, tanto che “tutta l’atmosfera fu offuscata e il sole completamente nascosto, come fosse eclissato”​. La pioggia di cenere fu così abbondante da coprire ogni cosa: “una quantità inconcepibile di cenere fu eruttata, coprendo sia il mare che la terra e riempiendo l’aria”​. Secondo Cassio Dione la cenere provocò gravi danni: uccise bestiame e colture, fece perire tutti i pesci e gli uccelli, e seppellì intere città (Pompei e Ercolano)​. Questo storico aggiunge un dettaglio sorprendente sull’estensione geografica del fallout: “la quantità di polvere fu così grande che parte di essa raggiunse l’Africa, la Siria e l’Egitto, e arrivò fino a Roma, riempiendo l’aria e oscurando il sole”. A Roma – che dista oltre 150 km dal Vesuvio – si verificò un oscuramento del sole e per diversi giorni la popolazione, ignara della causa, fu atterrita pensando che “il mondo intero si capovolgesse”​. Pur probabilmente esagerata, la testimonianza di Dione conferma che polveri e ceneri fini furono disperse nell’atmosfera fino a ricadere in zone molto lontane dal vulcano (causando poi, aggiunge Dione, una pestilenza a Roma nei tempi successivi)​ Va notato che nessuna fonte antica menziona esplicitamente il Circeo (Circei) in relazione all’eruzione. Il promontorio del Circeo – un massiccio calcareo alto ~541 m, non di origine vulcanica​ – si trova circa 120-130 km a nord-ovest del Vesuvio, lungo la costa laziale. In assenza di citazioni dirette, possiamo dedurre gli effetti locali al Circeo dalle testimonianze generali sopra citate. Se Roma vide il sole oscurato dalla cenere​, il territorio del Circeo (più vicino alla Campania rispetto a Roma) deve aver sperimentato almeno cielo scurito e caduta di cenere fine in seguito all’eruzione. È plausibile che gli abitanti di Circei osservassero un offuscamento anomalo del sole e trovassero depositata al suolo una leggera polvere vulcanica dopo l’evento, pur senza capire immediatamente l’origine del fenomeno (analogamente allo smarrimento iniziale dei Romani)​.

Evidenze archeologiche e conseguenze locali al Circeo

Dal punto di vista archeologico, nel territorio del Circeo non risultano strati di cenere paragonabili a quelli che seppellirono Pompei ed Ercolano – segno che l’impatto diretto fu molto attenuato con la distanza. Gli scavi nelle città vesuviane mostrano depositi di lapilli e ceneri spessi metri, mentre siti a decine di chilometri (ad es. a Napoli o Capri) presentano solo pochi centimetri di cenere. A oltre 120 km, in area Circeo, qualsiasi deposito di cenere sarebbe stato sottilissimo (millimetri o meno) e facilmente disperso dagli agenti atmosferici col tempo. Non si ha notizia di edifici crollati o villaggi abbandonati in zona Circei a causa dell’eruzione del 79, a differenza dell’area vesuviana dove i danni furono totali. Ad esempio, la sontuosa villa imperiale di Domiziano presso il Lago di Paola (ai piedi del Circeo) fu costruita negli anni immediatamente successivi (inizi degli anni ’80 d.C.), il che indica che la regione non subì devastazioni incompatibili con la presenza dell’élite romana. Anche i terremoti collegati all’eruzione non sembrano aver causato distruzioni evidenti al Circeo: le scosse più forti furono localizzate in Campania, vicino al vulcano. Plinio riferisce gravi crolli a Miseno​, ma non abbiamo cronache di danni a Roma o nell’agro pontino; è probabile che al Circeo le scosse siano state avvertite in modo lieve o moderato, data la distanza. In sintesi, conseguenze dirette come crolli, incendi o spessori di cenere al suolo tali da soffocare la vita non sono documentate nell’area del Circeo. Le conseguenze indirette furono invece possibili: ad esempio un sottile strato di polvere vulcanica depositato su campi e cisterne, un temporaneo intorbidimento delle acque piovane, oppure l’arrivo sulle coste di pomici galleggianti trasportate dalle correnti marine. Tali effetti sarebbero stati più che altro fastidi passeggeri. È significativo che le fonti non riportino evacuazioni o calamità al di fuori della Campania, suggerendo che al Circeo l’eruzione fu percepita come un evento pauroso (cielo oscuro, tremori) ma non distruttivo.
Visibilità dell’eruzione dal Circeo

Considerando distanza, altitudine e condizioni atmosferiche, l’eruzione del 79 d.C. sarebbe stata visibile dal Circeo in modo netto, almeno nelle sue fasi iniziali. Il Vesuvio si trova a ~125 km in linea d’aria dal Monte Circeo. Un’eruzione pliniana come quella del 79 d.C. lanciò materiale a oltre 30 km di quota – la colonna eruttiva penetrò nella stratosfera, raggiungendo un’altezza paragonabile a più di tre volte l’Everest. Un pennacchio di cenere e gas così elevato sarebbe visibile a enorme distanza: per confronto, l’orizzonte visivo da livello del mare è di ~5 km, ma un oggetto alto 30 km resta visibile fino a ~600 km di distanza in aria limpida. Dal promontorio del Circeo (541 m s.l.m.), l’orizzonte si estende a ~80 km; tuttavia la parte alta della colonna eruttiva avrebbe svettato ben oltre la curvatura terrestre. In condizioni di cielo sereno, gli osservatori al Circeo avrebbero potuto scorgere una grande nube a forma di pino elevarsi all’orizzonte sud-est. Plinio infatti descrive la nube del Vesuvio proprio con la forma di un pino marittimo (chioma larga sostenuta da un alto tronco di fumo). Anche se la base del vulcano era oltre l’orizzonte, la nube rovente – di colore probabilmente grigio scuro o nerastro – si sarebbe stagliata sul cielo. Nel primo pomeriggio del 24 agosto (o 24 ottobre secondo studi recenti), il contrasto con l’azzurro del cielo l’avrebbe resa osservabile come un fenomeno anomalo all’orizzonte. Col progredire dell’eruzione, il cielo sul Vesuvio divenne sempre più oscuro e vennero emessi lampi e bagliori elettrici nella nube (dovuti alla carica elettrostatica delle ceneri, simili ai fulmini nei vulcani contemporanei). Plinio da Miseno notò “guizzi di vapore infuocato, simili a folgori” dentro la nube​. È plausibile che di notte anche dal Circeo si potessero scorgere in lontananza deboli bagliori all’orizzonte o il lampeggiare di quei fulmini vulcanici, sempre che la copertura nuvolosa non li occultasse completamente. In ogni caso, entro il giorno seguente la dispersione delle ceneri in quota avrebbe offuscato l’intera atmosfera mediterranea, rendendo il sole velato anche al Circeo (come attestato a Roma da Cassio Dione​). Dunque, sì: l’eruzione era visibile dal Circeo, specialmente nelle fasi iniziali con cielo sereno. Un abitante di Circei, guardando verso sud, avrebbe visto una colonna eruttiva torreggiante crescere rapidamente e poi espandersi a fungo, prima che la densa nube in quota diffondesse un’ombra uniforme su larga scala.
Considerazioni dei geologi moderni sull’impatto in area laziale

Studi vulcanologici e simulazioni moderne confermano le testimonianze antiche e permettono di quantificare meglio il possibile impatto al Circeo. Il deposito di cenere dell’eruzione del 79 d.C. è stato rintracciato principalmente in direzione sud-est dal Vesuvio (verso Pompeii e il Golfo di Salerno), coerentemente con i venti prevalenti autunnali da nord-ovest​. Ciò significa che durante l’eruzione la maggior parte dei materiali cadde sopravento (Campania meridionale), mentre a nord-ovest – direzione del Circeo – arrivò per lo più cenere fine dispersa in alta atmosfera. In effetti, i vulcanologi stimano che soltanto uno strato millimetrico di ceneri possa essersi depositato oltre i 100 km a NW dal vulcano. Questo coincide con il racconto di Dione: a Roma l’aria era piena di polvere e il sole offuscato, ma non si parla di città imbiancate né di pioggia di lapilli a tale distanza​. Al Circeo si può immaginare un quadro analogo: una ricaduta di cenere impalpabile, percepibile come polvere grigia depositata su superfici esposte, ma di spessore trascurabile. Alcune analisi di carotaggi e successioni stratigrafiche nell’Italia centrale hanno effettivamente identificato sottilissimi livelli di tefra attribuibili al 79 d.C., ma si tratta di tracce minerali rilevabili solo con strumenti, non di strati visibili ad occhio nudo. In altre parole, l’eruzione non lasciò “strati di Pompei” al Circeo, bensì un’impronta chimica leggera e diffusa.
Dal punto di vista sismico, i geologi concordano che le scosse associate all’eruzione furono più intense in prossimità del Vesuvio. All’aumentare della distanza, l’energia sismica si dissipa: a 120+ km i terremoti del 79 d.C. avrebbero avuto intensità ridotta. Pertanto, pur potendo essere avvertiti (magari oscillazioni di oggetti, crepe leggere negli intonaci), è improbabile che abbiano causato crolli nel Lazio. Anche i flussi piroclastici – le nubi ardenti che distrussero tutto nel raggio di ~15 km dal cratere – non raggiunsero ovviamente zone lontane​, confinando gli effetti distruttivi alla stretta area vesuviana. Un possibile tsunami generato dal collasso del materiale nel Golfo di Napoli avrebbe potuto propagarsi nel Tirreno, ma le cronache non riportano onde anomale sulle coste laziali. Se un’onda raggiunse il Circeo, doveva essere di piccola entità e confusa tra le normali mareggiate (diversamente dal ritiro del mare ben osservato a Miseno​).
In sintesi, le valutazioni scientifiche moderne dipingono un quadro coerente con le fonti antiche: al Circeo l’eruzione del 79 d.C. fece sentire i suoi effetti in modo attenuato. Il fenomeno fu visibile a grande distanza e un sottile velo di cenere si depositò dall’alto, causando probabilmente cieli grigi e tramonti rosso accesi per alcuni giorni. Tuttavia, non vi furono effetti catastrofici locali: la vita nell’area del Circeo continuò, e anzi la regione accolse presto nuove costruzioni (segno che non divenne inabitabile). L’evento rimase per gli abitanti di Circei soprattutto uno spettacolo terrificante ma lontano, che riempì l’aria di polvere e scosse leggermente la terra, senza però devastare il loro territorio. Le testimonianze e gli studi convergono dunque nell’indicare conseguenze indirette e limitate per il Circeo, in netto contrasto con la distruzione totale avvenuta attorno al Vesuvio.
Fonti:
  • Plinio il Giovane, Epistulae VI, 16 (descrizione dell’eruzione osservata da Miseno)
  • Cassio Dione, Storia Romana LXVI, 21-23 (resoconto degli effetti dell’eruzione)
  • Osservatorio Vesuviano – INGV: ricostruzione dell’eruzione “pompeiana” del 79 d.C. e dispersione dei depositi
  • Studi moderni sulle direzioni dei venti e data dell’eruzione (Rolandi, 2007)
  • Dati geologici sull’altezza della colonna eruttiva (~33 km) e sugli effetti a lunga distanza.
  • Britannica, Mount Circeo (natura geologica del promontorio del Circeo)​

04 marzo 2025 | agg.2
13 gennaio 2017 | agg.1
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