La ricerca di quale verità?
Tra le varie fonti storiche che descrivono o richiamano le mura ciclopiche del Circeo e i fatti che le riguardano abbiamo, nei tempi più remoti, Erodoto, Tucidide, Strabone, Tito Livio e Dionisio di Alicarnasso. Le vicende, a quei tempi, sovente erano narrate non all'insegna della ricerca della verità, ma modellate per chi doveva farne la ragione della propria discendenza.
Nobili, principi e regnanti del Lazio, alla ricerca di discendenze leggendarie, sfruttarono la possanza delle mura ciclopiche per giustificare un lignaggio antico se non addirittura mitologico. Tito Livio ed Erotodo sul punto della veridicità dei loro racconti non si pronunciano ufficialmente nonostante che:
a) T.Livio narra "I racconti tradizionali che si riferiscono ai tempi precedenti la fondazione o la futura fondazione dell'Urbe, conformi alle favole poetiche che a una rigorosa documentazione storica, io non intendo né confermarli né confutarli…..Ma comunque si vorranno considerare e giudicare queste ed altre consimili tradizioni, io non le terrò certo in gran conto". (Prefazione, vv. 6 e 8);
PRAEFATIO 6. Quae ante conditiam condendamue urbem poeticis magis decora fabulis quam incorruptis rerum gestarum monumentis traduntur, ea nec adfirmare nec refellere in animo est. 8. Sed haec et his similia utcumque animaduersa aut existimata erunt haud in magno equidem ponam discriminae... (T.Livio)
b) Erodoto dal canto suo più palesemente "….quanto a me nei confronti di ogni racconto vale come norma fondamentale che io scrivo ciò che da ciascuno viene narrato secondo come l' ho sentito dire" (II 123, 1).
Mentre per Tucidide e Dioniso di Alicarnasso si riscontra a più riprese la volontà di una ricerca della verità quanto mai più fine e fondata a ritroso il più possibile su documenti storici e sull'analisi di tradizioni "volutamente ignorate".
c) Tucidide, in particolare, …"… mi sono imposto il principio di non scrivere mai la prima storia in cui mi imbattessi e di non lasciarmi neppure guidare da impressioni generali …" (I, 22). Tale proposito si riferisce alla metodologia con cui raccolse testimonianze dirette che utilizzò per la "Guerra del Peloponneso". Infatti, dal corpo del suo scrivere, Tucidide lascia spesso intendere che sia mosso dallo scopo di raccontare con distacco la sola nuda verità. Forse questa sua peculiarità gli deriva dal fatto di provenire da un ambiente militare!?. Non lo sappiamo!, ma proprio tale ambiente lo estromise dalla sua carica di Strategos dopo un'esperienza negativa. L'Atenese più volte da l'impressione di voler fuggire dalle "influenze esterne" per poter essere così più obiettivo nel cogliere i fatti della storia, ciò né fa un narratore "moderno". Ma diversamente da Erotodo, Tucidide non nominò mai le fonti da cui attinse salvo in pochi casi.
Significativo il confronto tra le due frasi di T. Livio e di Dionisio ove il primo -_ _"le narrazioni dei logografi aventi per scopo più il diletto dell'udito che della verità"; mentre il secondo _ _ "vi sono autori che…agivano in modo compiacente, gratificandoli (principi, nobili, etc.) con storie che non erano né giuste, né vere".
Ora, nel continuo dell'analisi, appare sempre più che Dionisio di Alicarnasso sia incentrato nella narrazione di verità il più possibile vicina a fatti certi, infatti le di lui frasi di prefazione spesso sono del tenore come:
"……su quali tradizioni e documenti mi sono basato"_ _"…con grande lavoro di ricerca …solo dopo aver consultato le opere di tutti questi storici" _ _"… allo scopo di rimuovere queste opinioni molto diffuse …. Queste sciocchezze"_ _ "… la mia storia comincia dai più antichi racconti che sono stati tralasciati dagli storici precedenti perché sono difficili e irreparabili, se non con grande lavoro di ricerca" _ _ "… e che dire d'altri ancora, quando vediamo che vi sono autori che queste sciocchezze le hanno messe anche per iscritto e tramandate nei loro libri di storia: essi in realtà erano al servizio di principi barbari che asserivano la supremazia romana, per cui frequentando la loro corte agivano in modo compiacente gratificandoli con storie che non sono né giuste, né vere "(I 4,3).
(Immagine a sinistra: Molti sono i popoli a cui è attribuita la permanenza nel cento Italia prima della supremazia Romana. Ma ad oggi sono pochi coloro che intendono attribuire agli stessi un unico ceppo etnico. Questo perchè le ricerche sono quasi tutte basate su testi degli antichi romani o ad essi contemporanei, fondati su interpretazioni politiche.)
La Storia della fondazione dell'antica Roma e dei popoli che la circondavano, dopo la distruzione degli archivi romani nel IV° secolo da parte dei Galli, venne a mancare di certezza perché vennero a mancare basi documentali originali. Gli storici che seguirono probabilmente avevano attinto o già copiato dai testi ormai distrutti. La memoria delle civiltà pre Romane ne fece le spese e la ricerca della verità, ancora oggi, è divisa in varie correnti. Ci vorrebbero delle ricerche archeologiche a più ampio raggio!
Ancora oggi permane un accentramento di risorse sull'area della Urbe Romana, ma, essendo un cumulo di demolizioni e rifacimenti, difficilmente permette di arrivare ad una stratigrafia più antica. Queste ricerche, comunque, a detta di alcuni autorevoli studiosi, permetterebbero di rivedere alcune date storiche. Dare che furono il risultato di un gran scrivere, ma povere di confutazioni reali. L'appello è rivolto ad archeologi Italiani che preferiscono programmi di ricerca all'estero, dimenticando che ancora c'è ignoranza sulle civiltà Italiche.
Ritenendo che, se si voglia provare a individuare chi e come costruì le mura megalitiche, bisognerebbe conoscere quali furono i popoli che probabilmente migrarono da terre lontane per giungere nel Lazio e che, di fatto, lo abitarono ancor prima della sopravvento della cultura Romana.
Nel quarto secolo a.c. Tucidide scriverà di alcune migrazioni che avvennero dal Peloponneso verso la penisola Italiana, mentre, gli storici che seguirono, narrarono della venuta di Ulisse e di Enea in Italia quali generatori di nuove stirpi frutto della unificazione di popoli locali.
Anche qui le fonti letterarie ne sfornarono diverse, ad esempio sulla figura del re Latino lo stesso Virgilio nel suo poema "l' Eneide" non seguì né Nevio né Ennio evitando così il condizionamento dei modelli latini più in voga a quei tempi. Egli narrerà diversamente l'incontro di Enea con i popoli del Lazio. Mentre colpisce come Catone indichi che Latino riceve benevolmente Enea concedendogli terre e figlia in sposa suggellando un patto di pace. Pace che finirà quando Enea, espandendosi sempre più, costringerà Latino ad allearsi con i Rutuli, ma troverà la morte proprio nel primo scontro con gli esuli Troiani.
Sia Tito Livio, che Dionigi di Alicarnasso narrano ancora diversamente tali fatti dipingendo il Re di Alba Longa come un uomo bellicoso che per pegno di sconfitta o per "suggerimento degli Dei" dovette cedere terre e figlia ad Enea.
Tali esempi danno un'idea di come si trasformi un fatto dividendolo in varie correnti interpretative che mai saranno confutate se non con l'apporto di nuove prove ben diverse da quelle si ritenga trovare nei pochi testi ad oggi conosciuti.